martedì 16 settembre 2008

Amare gli animali significa rispettare la loro natura e non “umanizzarli”

La crudeltà non è specista. Chi è violento verso gli animali è solo un violento vigliacco. Numerosi studi scientifici su gruppi di detenuti dimostrano che le persone violente verso gli animali sono più inclini a commettere crimini di varia natura (omicidi, furti, abusi sessuali, raggiri ecc.) anche contro i loro simili e che la violenza contro gli animali manifestata da ragazzi è spesso uno dei primi indici di una natura aggressiva. La crudeltà non è perciò specista: chi è crudele è crudele. Punto. Il salto di specie in questo caso è rappresentato solo dal fatto che gli animali, contrariamente agli umani, sono indifesi dalle leggi e dalle istituzioni per cui abusare di loro è molto più semplice. I vigliacchi, bambini o adulti, da soli, in branchi o a squadre, sanno quindi con chi sfogare i loro istinti di onnipotenza. Ed è così che tirare pietre a un gabbiano è un gioco innocente per la distrazione del pargolo, tenere un cane legato a catena per tutta la vita una normalità, sparare a milioni di creature per divertimento uno sport, allevare animali in condizioni aberranti un business mondiale indiscusso, mangiare aragoste bollite vive una sciccheria per veri vip. L’indifferenza colpevole con cui individui, società e istituzioni ignorano il mare di crudeltà che viene inflitto agli animali è però come un gatto che si morde la coda. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti.

Antonella De Paola

Essendo figlio di contadini sono nato e cresciuto in mezzo agli umani e agli animali; molti animali erano tenuti in vari livelli di cattività per il lavoro nei campi e l’approvvigionamento di proteine necessarie al nutrimento degli umani. L’uccisione di un animale, un piccolo animale da stia o un grosso manzo, li ricordo come momenti oserei dire sacrali, circondati quei momenti da una silenziosa cortina di rispetto e gratitudine. Cionondimeno venivano soppressi, e con mezzi, allora, che non è detto fossero proprio indolori. Avevamo poi altri animali - una cavallina, due cani, svariati gatti - per pura e gratuita amicizia e conforto. Quando penso a come sono cresciuto e educato a trattare con quegli animali, che a differenza di quelli che avrei mangiato erano lì per essermi amici e compagni, o per aiutarmi, come i cani, a cavarmela a non perdermi per le campagne, credo di poter dire che secondo lo standard attuale dei possessori “cittadini” di cani e gatti, sono stato educato a essere fermo e persino crudele. Cani e gatti stanno fuori di casa, mangiano gli avanzi o quello che riescono a cacciare; solo nei giorni più freddi passano qualche ora della notte al caldo della cucina in un angolo deputato, e solo nei giorni di grande festa si saziano con qualche leccornia. Quando il mio amatissimo cane Vulf ha azzannato un vicino in visita è stato soppresso senza alcuna pietà e scusante con un colpo di doppietta a pallettone, perché un cane mordace non ha diritto di vivere, così era la legge inflessibile. Eppure non vedo alcuna crudeltà in tutto ciò, vedo un rapporto di convivenza reale e franco.

Dico questo perché concordo in tutto e per tutto con le osservazioni della signora De Paola, ma aggiungo pure che trovo crudeltà anche nell’antropomorfizzazione degli animali, la perversione della loro natura. Trovo pratica crudele tenerseli in braccio e sommergerli di “pussi pussi tesoruccio”, mettergli le braghette e fargli la permanente, castrarli, sterilizzarli senza avergli concesso almeno una maternità, e obbligarli a imitarci, privarli di una relazione consona alla loro natura con l’ambiente, segregarli nei divani dei salotti e farli crepare di mal di fegato per il troppo cibo e il poco consumo di energie. Gli animali hanno diritto allo statuto di “esseri” e questo gli viene almeno in parte anche garantito dalla legge, ma abbiamo, credo, bisogno di essere ancora educati a riconoscere la natura degli esseri con cui vogliamo o dobbiamo convivere.